Papa Francesco ai giornalisti di ritorno dal viaggio in Turchia: «In moschea ho pregato: Signore, finiamola con queste guerre!»
Dicembre 1st, 2014 by Luigi De SalviaNell’intervista sul volo di ritorno Papa Francesco parla del dialogo interreligioso: chiede ai leader politici, intellettuali e religiosi dell’islam di condannare il terrorismo fondamentalista. E sull’unità con gli ortodossi spiega: la via non è quella dell’«uniatismo» della Chiese orientali. «Voglio andare in Iraq» e «desidero incontrare il patriarca di Mosca»
Papa Francesco vuole andare in Iraq e non ha abbandonato il suo progetto. Vuole anche incontrare il Patriarca di Mosca e dialogando con i giornalisti sul volo di ritorno a Roma dalla Turchia parla di ciò che è accaduto ieri nella Moschea Blu di Istanbul.
Islamofobia
«È vero che davanti a questi atti terroristici non solo in questa zona ma anche in Africa c’è una reazione. “Se questo è l’islam mi arrabbio!”. E così tanti islamici si sentono offesi, dicono: “Ma noi non siamo questo, il Corano è un libro profetico di pace, questo (terrorismo) non è islamismo”. Io questo lo capisco. E credo sinceramente che non si possa dire che tutti gli islamici sono terroristi come non si può dire che tutti i cristiani sono fondamentalisti – anche noi abbiamo dei fondamentalisti, in tutte le religioni ci sono questi gruppetti. Ho detto al presidente Erdogan che sarebbe bello condannarli chiaramente, lo dovrebbero fare i leader accademici, religiosi, intellettuali e politici. Così lo ascolterebbero dalla bocca dei loro leader. Abbiamo bisogno di una condanna mondiale da parte degli islamici che dicano: “No il Corano non è questo!”. Dobbiamo poi sempre distinguere qual è la proposta di una religione da quello che è l’uso concreto che di quella proposta fa un concreto governo: tu puoi condurre il tuo paese non come islamico, come ebreo o come cristiano. Tante volte si usa il nome ma la realtà non è quella della religione».
Cristianofobia
«Non voglio usare parole un po’ addolcite: a (noi) cristiani ci cacciano via dal Medio Oriente. Alcune volte, come abbiamo visto in Iraq, nella zona di Mosul, devono andarsene o pagare la tassa che poi magari non serve. Altre volte ci cacciano via con guanti bianchi».
Dialogo interreligioso
«Ho avuto forse la conversazione più bella in questo senso con il presidente degli Affari religiosi e la sua équipe. Già quando era venuto il nuovo ambasciatore della Turchia a consegnare le credenziali, ho visto un uomo eccezionale, uomo di profonda religiosità. Loro hanno detto: “Adesso sembra che il dialogo interreligioso sia arrivato alla fine”. Dobbiamo fare un salto di qualità. Dobbiamo fare il dialogo tra persone religiose di diverse appartenenze, è bello questo: uomini e donne che si ritrovano con altri uomini e altre donne e si scambiano esperienze: non si parla di teologia, ma di esperienza».
Preghiera in moschea
«Io sono andato in Turchia come pellegrino, non come turista. E sono venuto precisamente per la festa di oggi, dal patriarca Bartolomeo. Quando sono andato in moschea non potevo dire: adesso sono un turista! Ho visto quella meraviglia, il muftì mi spiegava bene le cose con tanta mitezza, mi citava il Corano là dove si parlava di Maria e di Giovanni Battista. In quel momento ho sentito il bisogno di pregare. Gli ho chiesto: preghiamo un po’? Lui mi ha risposto: “Sì sì”. Io ho pregato per la Turchia, per la pace, per il muftì, per tutti e per me… Ho detto: Signore, ma finiamola con queste guerre! È stato un momento di preghiera sincera».
Prospettive ecumeniche
«Il mese scorso in occasione del Sinodo è venuto come delegato il metropolita Ilarion e lui ha voluto parlarmi non come delegato al Sinodo ma come presidente della commissione del dialogo ortodosso cattolico. Abbiamo parlato un po’. Io credo che con l’ortodossia siamo in cammino, hanno sacramenti e successione apostolica, siamo in cammino. Se dobbiamo aspettare che i teologi si mettono d’accordo, mai arriverà quel giorno! Sono scettico: lavorano bene i teologi, ma Atenagora aveva detto: “Mettiamo i teologi su un’isola a discutere, e noi andiamo avanti!”. L’unità è un cammino che si deve fare e si deve fare insieme, è l’ecumenismo spirituale, pregare insieme, lavorare insieme. Poi c’è l’ecumenismo del sangue: quando questi ammazzano i cristiani, il sangue si mischia. I nostri martiri stanno gridando: siamo uno. Questo è l’ecumenismo del sangue. Andare coraggiosamente su questo cammino, avanti, avanti. È una cosa forse che qualcuno non può capire. Le Chiese orientali cattoliche hanno diritto di esistere, ma l’uniatismo è una parola di un’altra epoca, si deve trovare un’altra strada».
Voglio incontrare il patriarca di Mosca
«Ho fatto sapere al patriarca Kiril: dove vuoi tu noi ci incontriamo, tu mi chiami e io vengo. Ma in questo momento con la guerra in Ucraina ha tanti problemi. Tutti e due vogliamo incontraci e andare avanti. Ilarion ha proposto per una riunione di studio della commissione il tema del primato. Si deve continuare la domanda di Giovanni Paolo II: aiutatemi a trovare una formula di primato accettabile anche alle Chiese ortodosse».
L’origine delle divisioni tra le Chiese
«Quello che io sento di più profondo in questo cammino per l’unità è l’omelia che ho fatto ieri sullo Spirito Santo: soltanto il cammino dello Spirito Santo è giusto, lui è sorpresa, lui è creativo. Il problema – questa forse sì è un’autocritica, e l’ho detto anche nelle congregazioni generali prima del conclave – è che la Chiesa ha il difetto e l’abitudine peccatrice di guardare troppo a se stessa, come se credesse di avere luce propria. La chiesa non ha luce propria, deve guardare a Gesù Cristo. Le divisioni ci sono perché la Chiesa ha guardato troppo a se stessa. A tavola con Bartolomeo oggi parlavamo del momento in cui un cardinale è andato a portare la scomunica del Papa al Patriarca: la Chiesa ha guardata troppo a se stessa in quel momento. Quando si guarda a se stessi si diventa autoreferenziali».
Articolo di ANDREA TORNIELLI (Inviato sul volo Istanbul-Roma per Vatican Insider)