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Cristianesimo

Religione a carattere universalistico fondata sull'insegnamento di Gesù Cristo trasmesso attraverso la letteratura neo-testamentaria. È tra le maggiori religioni, con circa 2, 2 miliardi di fedeli in tutto il mondo. Le maggiori confessioni del cristianesimo sono:
La Chiesa Cattolica Romana nel Simbolo apostolico, cioÈ il Credo, si professa "una, santa, cattolica e apostolica". È governata dal Papa, in qualità di vescovo di Roma, successore di Pietro, e dai vescovi in comunione con lui. www.vatican.va
Ortodossia. Una comunione di Chiese cristiane autocefale, erede della cristianità dell'Impero Bizantino, che riconosce un primato d'onore al Patriarca Ecumenico di Costantinopoli (Istanbul). In Italia ci sono tre grandi gruppi affiliati a diversi Patriarcati: La sacra Diocesi ortodossa d'Italia, La Diocesi rumena d'Italia, la comunità legata al Patriarcato di Mosca.
Protestantesimo. Il termine comprende le Chiese che dichiarano un rapporto diretto con la riforma protestante del XVI secolo, sia nella sua espressione luterana che in quella calvinista e, sia pure con una propria fisionomia, anglicana. In Italia questa famiglia confessionale È rappresentata dalla Chiesa Valdese (Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi), dall'Unione cristiana evangelica battista d'Italia, dalla Chiesa Evangelica Luterana. Inoltre sono presenti anche Chiese Avventiste e l' Esercito della Salvezza.
Il Movimento Valdese (oggi Chiesa Evangelica Valdese), nasce verso il 1175 in Francia, per opera di un mercante di Lione, Valdés,che decide di lasciare la propria ricchezza ai poveri e vivere in povertà, predicando l'Evangelo al popolo. Nel 1532 verrà sottoscritta l'adesione alla Riforma protestante.
L'Anglicanesimo ebbe origine nel XVI secolo con la separazione della Chiesa Anglicana dalla Chiesa Cattolica durante il regno di Enrico VIII. La Chiesa Anglicana ha giocato un ruolo propulsivo nel movimento ecumenico e nel dialogo interreligioso, comune ormai a tutta la cristianità

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“I Love Libia”, pièce autobiografica di un rifugiato ebreo libico, è occasione di dialogo e speranza per la riconciliazione

Gennaio 11th, 2015 by

Il charge d’affaires dell’ambasciata libica presso la Santa Sede chiede scusa per le espulsioni e gli espropri degli ebrei libici

Il Ministro Mustafa Rugibani, Ministro Plenipotenziario e Incaricato D’Affari dell’Ambasciata Libica presso la Santa Sede, è un diplomatico musulmano la cui fede nella democrazia, l’uguaglianza e la libertà lo ha portato ad opporsi alla dittatura di Muammar Gheddafi. Di conseguenza, ha dovuto vivere in esilio per oltre trent’anni, senza essere potuto tornare in Libia nemmeno per il funerale di suo padre.

 Questa settimana al Teatro Argentina di Roma, il Ministro Ragibani ha raccontato la storia della sua vita ad una platea composta da oltre 700 cittadini romani, per lo più ebrei, per lo più di origine libica, per lo più familiari e discendenti dell’esodo di massa del 1967 da Tripoli e Bengasi che seguì alle rivolte, gli omicidi, le espropriazioni e l’espulsione dei cittadini ebrei della Libia.

 L’occasione scelta è stata “I Love Libia”, one-man-show autobiografico dello psicologo Junghiano David Gerbi – italiano, libico, ebreo – portato in scena per commemorare la “Giornata della memoria dei profughi ebrei dai paesi arabi”.

 Nel secolo scorso, circa 800.000 rifugiati arrivarono sulle sponde del Mediterraneo in Italia, in Israele e in altri paesi, in varie ondate migratorie, quando furono espropriati di tutti i loro averi e costretti a fuggire dalle ripetute persecuzioni e dai massacri perpetrati dalle popolazioni arabe, rese inferocite dalla propaganda anti-israeliana e anti-ebraica.

 La platea ha potuto ascoltare i calorosi messaggi inviati dal Dott. Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma, e da Naor Gilon, Ambasciatore di Israele in Italia (entrambi in Israele questi giorni). L’Ambasciatore Gilon ha ricordato la generosa accoglienza ricevuta dai profughi libici ebrei in Italia, la loro completa integrazione, e i loro “grandi contributi alla vita economica, sociale, culturale, intellettuale, artistica e scientifica” del loro paese di recente adozione. Purtroppo, ha ricordato, le antiche comunità ebraiche risalenti ad oltre 2500 anni fa, la cui cultura era anteriore a quella Cristiana e quella Islamica, sono finite in maniera traumatica “nel giro di soli pochi decenni – in Iraq, Iran, Siria, Libano, Egitto, Libia, Tunisia, Marocco…”.

 Non ci sono ebrei rimasti in Libia, ma le vittime della violenza crescono di numero di giorno in giorno. Nella Libia di oggi le vittime sono i cristiani copti, i musulmani sufi, gli amazigh e le altre minoranze religiose ed etniche, gravemente perseguitate e sottoposte a rapimenti ed omicidi. Come spesso accade, questi eventi nefasti sono solo l’ennesimo risultato di una crescente spirale di violenza i cui primi segni – i massacri degli ebrei nel 1945, nel 1948 e nel 1967 – furono ricevuti perlopiù con indifferenza nel resto del mondo. Folle di cittadini arabi diedero fuoco alle case ed ai negozi degli ebrei, uccidendo tutti gli uomini, le donne e i bambini che capitavano loro sotto tiro. In seguito, Gheddafi espulse tutti gli ebrei espropriando i loro beni, le loro sinagoghe, i loro cimiteri. Nel 1969 la Libia è diventata “Judenfrei.”

 La fiamma millenaria della convivenza pacifica tra i Libici musulmani, cristiani e la minoranza ebraica è stata spenta. Oggi, quarantaquattro sinagoghe vuote e fatiscenti, alcune colme di detriti, restano in piedi in silenziosa testimonianza della fu popolazione ebraica, un tempo comunità fiorente di circa 40.000 anime.

 David Gerbi, autore ed unico attore dello spettacolo “I Love Libia” utilizza la sua storia personale di emigrazione, di molteplici identità ed il desiderio di un ritorno alla coesistenza pacifica quale veicolo in cui i sentimenti sommersi della comunità ebraica libica emigrata possano risuonare ed esprimersi, ma anche come simbolo universale delle storie di tutti i profughi nel mondo di oggi. Come libico, italiano, ebreo che ama anche Israele, la sua storia personale diventa la storia di tutti, e tocca sensibilità profonde sollecitando una risposta corale in chi tra il pubblico ha vissuto simili esperienze.

 Ed infatti quando durante la narrazione nel Teatro Argentina Gerbi ha recitato dal palco le familiari preghiere, i suoi compatrioti gli si sono uniti a gran voce, partecipando con lacrime, grida e ripetuti applausi.

 David Gerbi ha raccontato la sua vita, l’esilio, e una serie di ritorni pieni di emozioni in Libia nel 21° secolo. Nel 2002 ha scoperto che una anziana zia ottantenne, Rina Debash, creduta da tutti morta da tempo, era in realtà l’ultima ebrea superstite in Libia, e che viveva in stato comatoso in un ospizio di Tripoli. Ha ricevuto da Gheddafi il permesso di farle visita. “E’ stato un vero miracolo”, dice ora. “Era in coma da 35 anni, non reagiva nè diceva una parola a nessuno, ma quando le ho sorriso, l’ho toccata, le ho parlato e le ho dati i fiori ed i cioccolatini da parte di mia madre, e quando ho messo intorno al suo collo una catenina con la stella di David e la parola “sciadai” – il Nome di Dio” — si è svegliata chiedendomi in lingua araba cosa gli avevo portato; e dopo più di un anno di intensivi negoziati diplomatici internazionali, ho potuto imbarcarla su un volo per Roma per riunirla con i membri superstiti della sua famiglia”.

 Nel 2011, Gerbi è tornato varie volte a Bengasi e Tripoli per aiutare a curare le vittime della sindrome da stress post-traumatico (PTS), oltre che in qualità di delegato dell’Organizzazione Mondiale degli ebrei libici (WOLJ) e della minoranza Amazigh invitato da Mustafa Abdul Jalil, il presidente del Consiglio Transitorio Nazionale, a far parte del futuro governo democratico della Libia.

 Trovandosi a Tripoli durante il periodo del Kippur (la più importante ricorrenza ebraica) si è recato a pregare nella sinagoga abbandonata di Dar Bishi – la sinagoga della sua infanzia. Ma quando ha poi raccolto un badile per ripulire la spazzatura, una folla furiosa gli si è radunata intorno impugnando cartelli e gridandogli «Vattene David”, “Qui non c’è posto per gli ebrei o per il sionismo”. Era in pericolo di vita.

 E’ stata quella circostanza a sigillare la sua amicizia con Mustafa Ragibani, allora Ministro del Lavoro della Libia. Fu Il Ministro Ragibani infatti a fare in modo che David Gerbi potesse ritornare in albergo, contribuendo poi ad organizzare, tramite le Ambasciate dell’Italia e degli USA, un volo militare che lo riportò a Roma.

 La presenza del Ministro Ragibani ad “I Love Libia” è stata anche una celebrazione di questa amicizia. Dopo lo spettacolo, ha preso posto sul palco un gruppo composto da Giulio Terzi di Sant’Agata, ex Ministro degli Esteri d’Italia e già Ambasciatore in Israele; Lillo Naman, un esponente della Comunità ebraico-libica di Roma il cui padre Shmuel fondò e costruì nel 1968 la prima Sinagoga ebraica libica di Roma; Roberto Catalano, Direttore per il  dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari; il Dott. Luigi De Salvia, Segretario Generale di “Religioni per la Pace / Italia”; Cenap Aydin, Direttore dell’Istituto Tevere, centro di dialogo Turco Musulmano; la sottoscritta, in rappresentanza dell’AJC (l’American Jewish Committee); e il Ministro Mustafa Ragibani – rappresentante dell’Ambasciata Libica presso la Santa Sede.

 Tutti hanno parlato del messaggio universale e del significato attuale della pièce di Gerbi, della grande importanza odierna del dialogo interreligioso (dimostrata dall’impegno di ogni membro del gruppo), e dell’importanza strategica per il Mediterraneo e per il mondo intero di aiutare la Libia a costruire la democrazia.

 Quest’ultimo punto è stato sottolineato in particolar modo dall’ex Ministro degli Esteri Giulio Terzi e ripetuto dal Ministro Ragibani in un appassionato appello per il sostegno italiano ed europeo per combattere la minaccia terroristica e porre fine agli orribili atti di violenza che si susseguono in Libia.

 Il Ministro libico ha parlato al pubblico col cuore in mano, emozionando profondamente la platea, la cui diffidenza iniziale alla presenza di un Ministro del Paese che li aveva espulsi, è svanita completamente alla fine della serata.

 Ragibani ha voluto chiedere alla comunità ebraica libica emigrata, in nome della Libia, “perdono per le tante sofferenze causate dal mio Paese agli ebrei libici”. Ha aggiunto che “la Libia ha bisogno che i suoi ebrei ritornino, perché il paese ha bisogno del loro aiuto per costruire una nuova democrazia insieme, in cui tutte le minoranze religiose ed etniche possano avere gli stessi diritti”. Ha ricordato che David Gerbi ha ricevuto mandato dal WOLJ e dalla minoranza tribale Amazigh a rappresentarli e che gli “è stato chiesto di essere il loro delegato in un futuro parlamento libico appena al paese ritorni la stabilità”. Ha ripetuto che il terrorismo islamista è “una grande e crescente minaccia per il futuro della Libia” ed ha chiesto un aiuto maggiore dall’Italia per contrastare questa minaccia. Ha detto che il suo esilio forzato lo aveva sensibilizzato “al dolore duraturo della separazione che provano i profughi ebrei libici”. Ha espresso inoltre la forte speranza che la Libia divenga una vera democrazia “con pieni ed eguali diritti per tutte le minoranze”.

 Quando l’altro ospite musulmano, il Prof. Cenap Ayden, ha ricordato che “speranza” in italiano è “Hatikvah” in ebraico – che è anche il nome dell’inno nazionale di Israele – l’intero auditorium, palco compreso, si sono alzati spontaneamente in piedi per cantare questa ammaliante melodia!

 agibani, Terzi e gli altri ospiti sono rimasti poi a “spezzare il pane” insieme in segno di amicizia ed hanno partecipato al rinfresco offerto al termine dello spettacolo. Molti pregiudizi e diffidenze sono stati superati, con la speranza (Hatikvah) che questi gesti molto personali possano portare a ulteriori passi di riavvicinamento e di pace, magari attraverso la diplomazia del dialogo interreligioso – riconosciuto anche da Papa Francesco come dal Ministero degli Esteri italiano di importanza strategica nei processi di pace nella situazione mondiale odierna.

Articolo di Lisa Palmieri Billig ( da Vatican Insider )